venerdì 27 aprile 2012

John Niven - A volte ritorno


John Niven, A volte ritorno, Einaudi, Torino, 2012, pagg. 381
Titolo originale: The Second Coming
Anno di prima pubblicazione: 2011
Traduzione di Marco Rossari
Voto: 9




Il Dio e il Gesù protagonisti di A volte ritorno, folgorante lavoro dello scozzese John Niven, Dio e Gesù ai quali non è estraneo il turpiloquio (e l’effetto di straniamento che si prova nel vedere all’opera santità così sboccate è uno degli ingredienti che rendono così comico questo testo), direbbero che questo è “un cazzo di grande romanzo!” In effetti, John Niven fa un piccolo miracolo (tanto per restare in tema) nel costruire la storia di un “Second Coming” (come da titolo originale) di Gesù sulla Terra con una divertente trivialità allegramente blasfema che non tutti apprezzeranno (e qualche passaggio un po’ troppo sopra le righe è innegabile che ci sia, ma fa parte del gioco orchestrato dall’Autore) ma in modo tutt’altro che sciatto e superficiale, anzi con un senso etico molto sui generis ma altrettanto forte. Niven propone infatti una sorta di “revisionismo alcolico” della religione (di ogni religione) che, al di là degli istrionismi che non mancano a questo scrittore così poco politically correct, mira a spogliare la teologia di tutti i fronzoli formali che da sempre la innervano per ridurla a pura sostanza morale ma tuttaltro che moralistica, cioè ad un unico mero comandamento molto semplice, “Fate i bravi”. “Crede davvero che a Dio freghi un cazzo di niente se Lo adorate oppure no?”, chiede il Gesù di questo romanzo ad un prete verso la fine del racconto (p. 301), e qui sta la stravagante ma tutto sommato felice (e, perché no?, condivisibile) intuizione niveniana, ossia la “Cristopoiesi” di un Dio cui non interessa nulla degli aspetti teologici della religione, ma è bensì interessato soltanto al fatto che gli uomini “facciano i bravi”. Per questo quando, al ritorno da una vacanza (pure Dio, che tra l’altro è un grande appassionato di sport, ha diritto ad un po’ di riposo ogni tanto!), scopre che nel 2010 le cose sulla Terra vanno come vanno – guerre, sperequazioni sociali, inquinamento e addirittura gente che sparge odio in nome della fede – decide di rispedire suo figlio (anzi, Suo figlio) sulla Terra affinché, nonostante la prima volta sia finita come sappiamo, rimetta in sesto le cose. E il figlio va: il romanzo è diviso in parti connesse narrativamente ma ognuna (a parte la prima, che è un prologo davvero irresistibile) incentrata su un episodio specifico della seconda vita terrestre di Gesù, che si muove da New York al Texas passando per Los Angeles lungo una serie di avventure che lo renderanno prima cantante e poi fondatore di una stravagante comune drop out, fino ad un finale realmente esplosivo che commuove e diverte allo stesso tempo. E funziona tutto molto bene: lo stile di Niven è semplice e giovanile, talvolta quasi colloquiale ma comunque scorrevole e funzionale ad una vicenda avvincente narrata con un “montaggio veloce” quasi da videoclip musicale (del resto la musica è una grande protagonista del racconto). A far da contrappunto a tutto questo è la grande vis comica della penna di Niven, che dona elettricità ad ogni pagina del testo. Divertente, folle e pericolosamente dissacrante, ma a conti fatti anche intelligente, A volte ritorno merita senz’altro una lettura.

«Fate i bravi». Ogni volta che Dio ripensa alla meravigliosa semplicità di quella frase, il Suo unico e originale comandamento, gli subentra in automatico un altro pensiero: quel coglione di Mosè, ecco chi. Tutta una marea di stronzate sul desiderare o meno il bue del vicino. (Mosè, si sapeva, era sempre stato un ticchio fuori di testa. Un ticchio? Quel tipo era uno schizzato bello e buono). Perché? Come gli era venuto in mente di metterci il sesso? Potere. Ambizione. Ego. Così va il mondo.
(pag. 23)

Nessun commento:

Posta un commento