venerdì 31 agosto 2012

Antonio Skármeta - Match ball


Antonio Skármeta, Match ball, Garzanti, Milano, 1994, pagg. 191
Titolo originale: Match ball
Anno di prima pubblicazione: 1989
Traduzione di Glauco Felici
Voto: 7,5




Abbiamo parlato la scorsa settimana a proposito di IntoThe Wild – ma è un tema che ricorre spesso in questo blog, ed un titolo che mi piace ricordare a tal proposito è quello del film Ti va di pagare? – di quello che succede quando ci si trova a fare i conti con una vita con la quale, troppo piegata com’è alle convenzioni sociali, l’io non si riconosce più. Ne parliamo anche a proposito di questo poco noto romanzo del cileno Antonio Skármeta – noto più che altro in quanto autore di Il postino di Neruda, il romanzo da cui è tratto Il postino, l’ultimo (bel) film di Troisi – ribaltando però l’ottica “etica” con cui il tema è affrontato. Mi spiego: spesso la rottura dalle convenzioni è un gesto “nobile” che l’eroe protagonista fa per rimpossessarsi giustamente della propria esistenza rompendone le catene sovrastrutturali che il vivere in società le ha imposto. Il dottor Papst, protagonista di Match ball, invece non fa niente di nobile. Per un signore come lui, un medico dalla carriera ben avviata e soprattutto un uomo con 52 anni sulla carta d’identità, innamorarsi di una tennista di nemmeno sedici anni non è certo un’idea brillante, una trovata da ammirare, una ribellione esemplare. È tutt’altro: è un atto che va contro la legge, contro la morale e più semplicemente contro il buon senso. Ed è un gesto che, chiaramente, si fa pagare per un prezzo molto alto…!

Ambientato tra Berlino, Roland Garos e Wimbledon, Match ball non è un capolavoro, è comunque un rocambolesco romanzo di s-formazione che gira molto bene grazie al ritmo impostogli dalla trama ma soprattutto dalla facilità di racconto del suo Autore, che, con prosa fluente e rigorosa, aggettivazioni poderose e citazioni intellettualistiche (anche se talvolta si concede troppo al “rimuginio”), si rivela romanziere di lungo corso in grado di narrare con brio e ironia – tanto che alla fine il ricordo che lascia la lettura di questo romanzo è quasi quello di una commedia – una vicenda così scabrosa che nelle mani di altre autori avrebbe potuto assumere contorni ben più inquietanti (e seriosi). Sospeso tra Lolita e il feuilleton latino-americano del genere deriso da Vargas Llosa nel suo La zia Julia e lo scribacchino, Match ball non intende in nessun momento giustificare il discutibile operato del protagonista, un farfallone fuori tempo massimo alle prese con una vicenda quasi da pedofilia. Insiste comunque sul solito tema dell’alienazione del mondo moderno, che non dà luogo soltanto a magnifici gesti alfieriani di grande nobiltà di spirito, ma anche a bassezze da sottoscala come improbabili liasion tra lolite cresciute troppo in fretta e signori più che adulti con troppa nostalgia del tempo che fu. Non c’è niente da fare: più ci si comprime e ci si limita all’interno delle regole imposteci dalla società, più per reazione si rischia di esplodere e di lasciare liberi istinti primordiali non sempre commendevoli. Insomma, lettura poco impegnativa ma non del tutto insignificante: Match ball si legge velocemente non senza ricavarne qualche sorriso.

Diana mi ha porto un flacone marrone e mi ha indicato con un gesto di leggere del mento di leggere l’etichetta. Era un potente sonnifero.
«Stanotte ho dovuto darne a mia figlia perché la poverina potesse addormentarsi. Era irascibile, disperata, come impazzita».
«Mio Dio! Perché non mi ha chiamato?»
Abbiamo applaudito insieme il game.
«È proprio qui il problema, dottore. Perché ieri notte il rimedio sarebbe stato peggiore del male».
«Non capisco».
«Ho l’impressione che Sophie sia innamorata di lei, dootore».
«Mi piacerebbe godermi questa finale senza sentire spropositi, contessa von Mass».
«Innamorata e non platonicamente, se capisce quel che voglio dire».
«Per fortuna no, madame». […]
Ho fatto il gesto di alzarmi, ma lei mi ha rimesso a sedere con vigore virile sulla panchina.
«Lei lo sa che se va via Sophie perde».
«Allora, che cosa vuole che faccia?».
«Rimanga con noi fino almeno fino a Londra. Ma l’avverto che se ci si mette insieme, le strappo gli occhi e li do da mangiare ai maiali».
«In questo caso le chiedo che con i soldi del premio mi compri un cane che mi faccia da guida».
«Cane e bastone bianco, dottore!».
(pagg. 102-3)

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