venerdì 7 settembre 2012

Nick Hornby - Un ragazzo


Nick Hornby, Un ragazzo, Guanda, Parma, 2011, pagg. 265
Titolo originale: About a Boy
Anno di prima pubblicazione: 1998
Traduzione di Federica Pedrotti
Voto: 9




Will, uno sconclusionato trentaseienne di Londra che vive di rendita, si imbatte in Marcus, problematico dodicenne dalla madre depressa con pulsioni suicide: dopo questo incontro, niente sarà più come prima, nel bene e nel male! Hornby, non a caso autore di culto, ci propone un duplice romanzo di formazione (da cui è tratto pure un film con Hugh Grant) con due figure in parallelo che a modo loro maturano: Will e Marcus sono due personaggi che crescono affrontando i problemi tipici della propria età ma anche altre problematiche più personali, talvolta drammatiche, talvolta paradossalmente divertenti. Incrociando e sovrapponendo le due vicende, Hornby struttura il romanzo in maniera veramente commendevole, riuscendo con bravura a divertire e commuovere al tempo stesso, trovando pure un modo spiritoso ma mai irriverente di trattare temi enormi come la depressione, il bullismo, l’educazione, i problemi sentimentali. Hornby è “giovanilistico” nel senso buono del termine, nel senso che parla di giovani e ai giovani (e questo vale anche per i meno giovani rimasti giovani dentro come Will) senza indulgere a facilonerie stucchevoli da romanzetti rosa per adolescenti annoiati, ma piuttosto dimostrando la sensibilità necessaria per capire, e affrontare con cognizione di causa, i temi di cui si tratta. In tal senso, è autore “contemporaneo” non solo per il dato anagrafico (Hornby è del 1957 e il romanzo è del ’98), ma soprattutto per le tematiche affrontate, nonché per lo stile usato, leggero e colloquiale – molto giovanile, appunto – ma sempre accurato e preciso. Senza giustificare né condannare, ma solo raccontando, Hornby dipinge con pennellate leggere il mondo dei giovani e meno giovani di oggi, sconclusionati e smarriti nel gioco della vita, ma pur sempre umani e tutto sommato buoni. Con un grande insegnamento, enunciato da Will: non importa avere da fare (con famiglia, lavoro o simili) per essere impegnati, perché vivere è già di per sé molto impegnativo!

Se c’era un inconveniente nell’esistenza che si era scelto – quella sua esistenza senza lavoro e senza preoccupazioni, senza noie e difficoltà, senza arte né parte –, adesso l’aveva finalmente scoperto: quando a una festa di Capodanno incontrava una donna single interessante, colta, ambiziosa, bella, brillante, si sentiva un povero scemo, una nullità, uno che non aveva fatto niente nella vita se non guardare Countdown e andare in giro in macchina ascoltando i Nirvana. E questo giocava a suo sfavore. Se ti innamoravi di una donna bella e intelligente e tutto il resto, sentirsi come un povero scemo ti metteva un po’ in una situazione di svantaggio.
(pagg. 168-9)

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