venerdì 26 ottobre 2012

Antonio Tabucchi - Sostiene Pereira


Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira, Feltrinelli, Milano, 2004, pagg. 214
Anno di prima pubblicazione: 1994
Voto: 10




Non c’è molto da dire, in verità: Sostiene Pereira è probabilmente l’opera più nota (e più premiata!) del mai abbastanza rimpianto Antonio Tabucchi, e si merita pienamente tutta la fama che ha ottenuto. Non si può che consigliare di leggerla, a chi ancora fosse sfuggita. È un libro che ammalia e conquista, dopo i primi tre-quattro capitoli che sembrano essere un po’ in sordina, ma che in realtà servono al lettore per acclimatarsi con lo straordinario stile tabucchiano, si tratta di una lettura che incommensurabilmente piacevole. Pereira è un giornalista mite – ma non per questo propenso a chinare facilmente la testa – ai tempi della dittatura in Portogallo, e la sua storia – con quelle del ribelle Monteiro Rossi e del dottor Cardoso – è una storia di libertà, di riaffermazione della libertà, un esempio di riscatto di libertà dal forte valore morale che si dovrebbe leggere anche alla luce di un’attualità che troppo spesso, nonostante tutte le lezioni del passato, si lascia sedurre – sta succedendo anche in questi giorni, con il parlamento italiano che sta studiando una legge contro la diffamazione che pare molto restrittiva dei diritti dell’informazione – dalla tentazione di limitare la libertà di stampa (lo stesso Tabucchi fu anche un giornalista e, a suo modo, non fu esente da qualche problema “alla Pereira”...) È anche una storia che disorienta soprattutto per la bellezza statuaria dello stile con cui è narrata, stile introspettivo, leggero, quasi ironico, in grado di avvicinare molto il personaggio, che pare deporre la sua storia di fronte ad una sorta di tribunale della letteratura, al lettore, facendo sì che scaturisca nei confronti di Pereira, un personaggio davvero straordinario, umile e titanico allo stesso tempo, una simpatia sconfinata. E non è uno stile fine a se stesso, ma funzionale ad un racconto che procede di pagina memorabile in pagina memorabile, tra piccole lezioni di vita quotidiana, piccoli episodi raccontati come se fossero grandi eventi o magari grandi eventi raccontati come se fossero piccole cose... È bene non dire altro, se non che il romanzo si fregia oltretutto di un finale che non può che emozionare molto intensamente...

Pereira sapeva che i mercati erano in agitazione, perché il giorno prima, in Alentejo, la polizia aveva ucciso un carrettiere che riforniva i mercati e che era socialista. Per questo la Guarda Nacional Republicana stazionava davanti ai cancelli dei mercati. Ma il “Lisboa” non aveva avuto il coraggio di dare la notizia, o meglio il vicedirettore, perché il direttore era in ferie, stava al Buçaco, a godersi il fresco e le terme, e chi poteva avere il coraggio di dare una notizia del genere, che un carrettiere socialista era stato massacrato in Alentejo sul suo barroccio e aveva cosparso di sangue tutti i suoi meloni? Nessuno, perché il paese taceva, non poteva fare altro che tacere, e intanto la gente moriva e la polizia la faceva da padrona. Pereira cominciò a sudare, perché pensò di nuovo alla morte. E pensò: questa città puzza di morte, tutta l’Europa puzza di morte.
(pagg. 13-14)

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