venerdì 15 novembre 2013

Carmen Consoli - Stato di necessità

Carmen Consoli, Stato di necessità (2000)
Tracklist: 1. Bambina impertinente – 2. Stato di necessità – 3. Parole di burro – 4. Novembre ’99 (L’isola del tesoro) – 5. In bianco e nero – 6. L’ultimo bacio – 7. Il sultano (della Kianca) – 8. Amado señor – 9. L’epilogo – 10. Orfeo – 11. Equilibrio precario – 11. Non volermi male
Voto: 9



Appena inserito il cd nel lettore, ci accorgiamo che Stato di necessità è un album che dura 69 minuti tondi tondi. Non è una bizzarra coincidenza: l’ultima traccia contiene un lungo periodo di silenzio (con ghost-track...) inserito ad arte per allungare il minutaggio finale fino al raggiungimento di questa durata. E non è una cosa fatta senza malizia – non serve spiegare perché. Già prima di iniziare il primo ascolto di questo album, l’ascoltatore è quindi in grado di capire almeno una delle tematiche più importanti di questo lavoro, ossia una conturbante allusione erotica che ne forgia più di una canzone. Poi parte la prima traccia, Bambina impertinente, un magnifico elettro-rock dall’arrangiamento scarno ma potente (senza batteria), il cui ritornello è graffiato dall’incalzante “Trattami come se fossi una dea” e le strofe scivolano via sinuose e sensuali (“Non ho padronanza del termine esatto ma godo al contatto [...] mi piace scherzare sembrando indecente, parlarti all’orecchio dicendoti niente”) ed il gioco si fa ancora più scoperto.

Correva l’anno 2000 e Carmen Consoli era all’apice della forma, dando alle stampe forse il suo album più riuscito di sempre. La forte sensualità di cui si è appena parlato è un inno all’emancipazione, e fors’anche ad una piccola trasgressione, ma non all’indecenza né ad una disinvoltura “felina” dei costumi sessuali: in modo assai riuscito, Carmen Consoli riesce a descrivere il desiderio di libertà erotica che non bada ai laccioli ipocriti e condizionanti della società e del giudizio degli altri, ma al contempo anche l’insicurezza, o forse proprio la paura, a lasciarsi andare a un impulso carnale che d’altra parte non vuole mai sottrarsi al regno del sentimento. È un vero e proprio Stato di necessità, come espresso nell’azzeccata title track (“Saltami addosso dottore coraggio”), un’indagine a tutto tondo nel campo delle relazioni interpersonali, tra il desiderio di darsi e la paura dell’altro.

In questo affresco, i capitoli più dichiaratamente passionali ed espliciti (citiamo anche l’ottima Il sultano (della Kianca), con una potente intro di chitarra) non escludono gli episodi più dolci e struggenti. Tra questi, innanzitutto, i singoli che resero un successo quest’album, l’ardente L’ultimo bacio, Parole di burro (una riflessione sul rapporto forse più difficile che c’è, quello con noi stessi), la “mitologica” Orfeo (col bisogno di Euridice di tornare alla vita e di affidarsi a colui che la trarrà in salvo... nella speranza che stavolta finisca meglio!) e pure In bianco e nero, una riflessione ancora sentimentale ma non più riferita al solito rapporto donna:uomo, ma al rapporto figlia:madre, con la prima che dopo anni si rispecchia nella seconda e quasi si scusa di non essere sempre stata in grado di avere con lei un rapporto apertissimo (“temendo una sciocca rivalità”).

Al di fuori dai grandi singoli, però, emergono altre perle da ricordare. Novembre ’99 (L’isola del tesoro), dal doppio titolo enigmatico e all’apparenza irrelato col testo, racconta il “freddo” che si ha nel cuore nei momenti in cui non si riesce a stabilire una relazione serena con l’Altro (“so già che per un momento sarà pieno inverno”); L’epilogo racconta con impotente nostalgia la fine di una storia che volge alla fine (“le solite foto sul frigo e il pensiero di essere altrove”) ma il vero epilogo dell’album, ma anche del percorso esistenziale tracciato dall’artista catanese in questo lavoro, è la meravigliosa Non volermi male, una “piano ballad”, tormentata ma con una luce in fondo, che descrive quell’inafferrabile attimo in cui tutto finisce ma in cui allo stesso tempo c’è già il barlume di qualcosa di nuovo che comincia: tra le rovine di ciò che è stato, si staglia nella sua gnomica semplicità la certezza che “certe volte l’importante è sentirsi più belli, quanto basta per sentire che il mondo è vicino, e non è perfetto”. “Smascherare” gli altri nella loro fragilità non è un modo per guardarli dall’alto al basso, ma per sentirsi come loro.


Forse il migliore album di Carmen Consoli, dicevamo. Questo vale anche dal punto di vista musicale. L’ottima cantante catanese vive di almeno due anime molto distanti tra di loro, una dedita al rock, più presente nei primi lavori (Mediamente isterica su tutti), una rivolta a sonorità leggiadre e tendenzialmente acustiche, che ha fatto capolino più volte negli ultimi anni. Stato di necessità costruisce una mirabile sintesi tra queste due componenti, spaziando da “mura di chitarre distorte” e arrangiamenti “hard” a brani acustici e accompagnamenti di violini. Il tutto a creare un amalgama perfetto, ottimamente sostenuto da un songwriting riuscito e una produzione impeccabile.


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